Giochi di potere: lo scacchiere siriano

Parto dalla notizia recente:

Usa, Gb e Francia attaccano la Siria. Trump “Missione compiuta”. Putin: “Atto di aggressione”. Damasco: “Danni limitati”
“Alle 21 di New York (le 3 in Italia) il presidente ha ordinato una serie di attacchi mirati a siti legati ai programmi di guerra chimica. Colpiti un centro di ricerca, un sito di stoccaggio per armi chimiche a Homs e un posto di comando. Evitate le basi utilizzate dai russi. Ci sarebbero tre feriti. Su richiesta della Russia, alle 17 ora italiana convocata la riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”
Fonte: “Repubblica” http://www.repubblica.it/esteri/2018/04/14/news/trump_ha_deciso_attacco_alla_siria-193809913

La situazione precipita in Siria.

E’ necessario fare un analisi a ritroso per capire le dinamiche che stanno sconvolgendo il Medio Oriente e in particolare la Siria in quanto epicentro della destabilizzazione geopolitica.

La Russia di Putin è sempre più alla ricerca di protagonismo in un mondo dove l’Occidente è sempre più presente e radicato.

Scontato dire che la “riconquistata” Crimea è stato il punto di esordio di un progetto ben più ampio che ha come fine la riconquista dei vecchi confini sovietici. Crimea che gli garantisce il pieno controllo della base militare sul Mar Nero, fondamentale in un momento in cui l’Unione Europea è in espansione verso est e la Turchia, con Erdogan, fa il doppio gioco.

Altro punto fondamentale nella logica russa è mantenere sotto la sua influenza il territorio siriano che le garantisce lo sbocco sul Mar Mediterraneo; non solo, la Siria rappresenta l’unico alleato russo in Medio Oriente, di conseguenza la sconfitta di Assad rappresenterebbe la perdita di una pedina nell’intricato ma alquanto fruttuoso Oriente.

Esiste un gioco di equilibri, di pesi e contrappesi che si sta riformando seguendo la vecchia logica imperialista.

Gli Stati Uniti in questo gioco ne sono i protagonisti indiscussi. Abbandonata la linea morbida di Obama, la rinascita statunitense fatta di aumento di dazi e intolleranza prende il sopravvento, con un Trump incapace di prendere decisioni, trascinato da scelte militari che avevano già cercato, con scarso successo, in passato di ammaliare Obama.

Francia e Gran Bretagna: ogni loro intervento sottolinea sempre più un’Unione Europea debole, non ancora protagonista nello scenario politico internazionale. Schiava delle forti  logiche nazionali che ripudiano ogni scelta condivisa. Francia e Gran Bretagna, forti di un passato e di una storia che le ha sempre poste sul podio, tra vincitori e mai tra i vinti. Si credono capaci di imporre scelte e di agire per interesse economico quanto invece si rivelano pedine dello stesso braccio americano.  “Intervento in Libia docet!”

Un’Israele timorosa, che vive di accerchiamenti e di attacchi preventivi. Sa bene che la possibile vittoria di Assad, della Russia ma sopratutto del tanto odiato Iran, porterebbe il suo paese ad un ulteriore pericolo. Spinge da tempo, il suo alleato storico, gli Usa ad un intervento militare di terra.

In tutto questo torna alla luce il problema dell’inefficienza  dell’ONU.

Il diritto di veto dei Paesi permanenti del Consiglio di sicurezza mostra tutta l’inutilità dell’ONU. I cinque membri permanenti: Cina, Usa, Francia, Gran Bretagna e Russia hanno il potere e il “diritto” di fare ciò che gli pare a prescindere da tutto e tutti. Come si fa a chiedere un intervento dell’ONU, prima di ogni azione, se i membri permanenti sono proprio i Paesi co- protagonisti delle questioni siriane?

Il quadro è contorto, fatto di allusioni, vecchi protagonismi e nostalgia!

I curdi e la loro indipendenza, l’Isis e  i ribelli siriani! la situazione è complessa, tutta concentrata in un luogo che sta per esplodere.

L’attacco chimico e la guerra hanno sempre e solo una vittima, il popolo, quanto ancora dovrà soffrire per queste logiche di potere?

 

Anna Morrone

 

 

 

La Follia Nord-Coreana : L’evoluzione dal 38° parallelo ad oggi

Sono passati 64 anni dalla fine del Conflitto tra la Corea del Nord e la Corea del Sud che determinò una delle fasi più acute della Guerra fredda, con il rischio di un conflitto globale e il possibile utilizzo di bombe nucleari. I due paesi subirono la sorte più drammatica del processo di decolonizzazione mondiale, difatti dopo la II Guerra mondiale la Corea venne divisa in due Stati: uno comunista al nord e uno filoamericano a sud a conferma delle due zone di influenza delle superpotenze mondiali, Urss e Usa. Il confine tra le due Coree meglio conosciuto come 38° parallelo vide una destabilizzazione poco dopo la sua creazione: nel 1950 la Corea del Nord invase il territorio della Corea del Sud. L’invasione determinò una rapida risposta dell’ONU: gli Stati Uniti, affiancati da altri 17 Paesi, intervennero militarmente nel tentativo di liberare il paese occupato e, alla fine, rovesciare il governo nordcoreano. Ma fu grazie alla partecipazione della Cina a fianco della Corea del Nord che i belligeranti riuscirono a trovare un accordo e a firmare un armistizio nel 1953, armistizio che da quel momento ha mantenuto inalterata la situazione.

Ci furono enormi conseguenze: oltre ai milioni di morti, alla disperazione e agli immensi danni economici, la guerra di Corea spinse gli Stati Uniti a intensificare la propria azione ostile verso i paesi comunisti. Nel 1951 fu firmato il trattato di pace con il Giappone e fu stipulato il Patto di sicurezza nel Pacifico con Australia e Nuova Zelanda, mentre in Europa si iniziò il riarmo della Germania e aiuti economici furono concessi alla Spagna franchista e alla Jugoslavia, in rotta con l’URSS.

Oggi.

Dal giorno dell’armistizio nonostante le continue provocazioni e minacce da parte della Corea del Nord sia alla Corea del Sud che al Giappone, il confine tra i due Paesi non ha visto il sorgere di nuovi conflitti armati.

Ma già con Kim Jong-il, divenuto leader coreano nel 1994 ( padre di Kim Jong –un ),ci fu un aggravamento dei rapporti con gli Stati Uniti con l’inizio del programma nucleare da parte della Corea del Nord; nello stesso anno Corea del Nord e Stati Uniti tentarono un accordo, l’Agreed Framework, in base al quale Pyongyang si sarebbe impegnato a smantellare il suo programma nucleare in cambio di aiuti da Washington nella costruzione di due reattori nucleari. Tuttavia tale accordo ebbe vita breve e nel 2002 Kim lo rigettò affermando che la Corea avrebbe prodotto armi nucleari a causa della presenza dell’esercito statunitense nella penisola sudcoreana e del peggioramento dei rapporti col Presidente George W. Bush. Il 9 ottobre del 2006 l’Agenzia di Stato nordcoreana annunciò il successo di un test nucleare sotterraneo che costò alla Corea del Nord delle sanzioni da parte dell’ONU.

Il 17 dicembre 2011 morì Kim Jong-il e, successivamente all’annuncio della morte del padre (avvenuta due giorni prima), la televisione di Stato nordcoreana presentò Kim Jong-un come il “grande successore”, invitando la nazione a unirsi intorno al nuovo leader, ufficializzando il completamento del cursus honorum con la successione al padre e al nonno. L’11 aprile 2012 la quarta conferenza generale del Partito del Lavoro di Corea lo elesse primo segretario del partito e nominò segretario generale eterno suo padre defunto Kim Jong-il.

Sono circa 9.732,57 i km di distanza tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti che nelle ultime ore e giorni vedono uno scambio di minacce. Il comune denominatore tra i due leader, quello statunitense, Donald Trump, e quello Coreano, Kim Jong-un, è la demagogia. Agitatori di masse, subdoli e ignari del pericolo a cui stanno andando incontro, i due Leader non nascondono il loro disprezzo reciproco.

La guerra, per ora solo fatta di armi retoriche e verbali, con la corsa a chi la spara più grossa vede da giorni la Corea del Nord rispondere puntualmente a ogni minaccia di Trump che poco dopo replica a tono.

Pyongyang fa sapere che per Ferragosto sarà pronta a colpire le acque tra 30 e 40 km dall’isola Usa di Guam, dove sorgono basi navali e quella dei bombardieri strategici americani, dando una dimostrazione di forze agli Usa dopo le minacce del suo Presidente. Il Giappone preoccupato di un possibile conflitto armato sta procedendo allo schieramento dei missili intercettori dopo le minacce nordcoreane. E la Cina? Da sempre difensore del suo alleato nord-coreano, inizia a dimostrare qualche “accenno” di preoccupazione: dapprima difende l’alleato, poi non pone il veto alle sanzioni durante il Consiglio di sicurezza: la Cina è in evidente difficoltà, apparentemente incapace nell’ultimo periodo di gestire il suo alleato ( o meglio il suo paese satellite).

La guerra fredda in realtà non è terminata, è solo sopita; sta ritornando a galla nel momento più debole che la comunità internazionale sta vivendo. Lo stato islamico, la continua destabilizzazione del Medio Oriente, gli attacchi terroristici, l’avanzare di nuove realtà economiche che spostano l’epicentro dell’economia mondiale, l’estrema destra che guadagna terreno in Europa: esiste un fermento militare che dopo tanti anni di pace chiede sfogo, alimentato dall’isteria e dalle continue provocazioni . Il confine tra pace e guerra è talmente labile che il “Si vis pacem, para bellum” sta prendendo sempre più forma.

 

Anna Morrone