Il “disgelo”

Oggi può essere considerata una”giornata storica” che in tempi passati nessuno avrebbe mai pensato potesse arrivare. Obama, il presidente degli Stati Uniti, in visita ufficiale a Cuba. Nonostante il riavvicinamento dei rapporti tra Usa e Cuba ( con la riapertura delle ambasciate) l’embargo continua a permanere, essendo  necessaria la votazione del Congresso americano per sollevare le sanzioni.

Piccolo problema, come voterà il Congresso essendo quest’ultimo a maggioranza repubblicana?

Tra i candidati alle primarie dei repubblicani, Marco Rubio  si è detto contrario a questa nuova fase di riavvicinamento.  Anche per  Jeb Bush, ormai uscito dalla corsa alle primarie repubblicane, ex governatore della Florida – dove vivono molti degli esiliati cubani – la strategia di Obama sta “legittimando ulteriormente il regime brutale dei Castro”. Jeb Bush ritiene inoltre che invece di sollevare l’embargo bisognava rafforzarlo, escludendo Cuba dal summit triennale delle Americhe sino a quando questa non firmerà la Inter-American Democratic charter ovvero la carta che riconosce la democrazia come la principale forma di governo.

Un altro candidato repubblicano, Ted Cruz si è detto contrario al riavvicinamento dei rapporti tra Usa e Cuba; egli sostiene che prima di sollevare l’embargo sia necessario ottenere da Cuba una riforma del suo sistema giudiziario, una presenza dell’opposizione ai negoziati, e un miglioramento nella situazione dei diritti umani sull’isola.

Ma il vero quesito su cui riflettere è questo:  i freni ideologici dei repubblicani circa il riavvicinamento dei rapporti tra Usa e Cuba e sulla possibilità di sollevare l’embargo avranno la meglio sugli interessi economici che potrebbe portare una riapertura dei rapporti commerciali tra Usa e Cuba ?

“Ai posteri l’ardua sentenza.”

Anna Morrone

Le due “Gerusalemme”

Lo status della città di Gerusalemme rappresenta un problema complesso e di difficile risoluzione nel quadro dei conflitti arabo-israeliani. Proprio la definizione di tale status è da sempre influenzato dalla questione che tale città non solo viene considerata sacra dai cristiani, dagli ebrei e dai musulmani, ma in essa si assiste alla sovrapposizione di Luoghi santi per tutte e tre le grandi religioni monoteiste, ed è questo ciò che  rende Gerusalemme una città unica nel suo genere. Tale unicità ha  determinato il moltiplicarsi di problemi legati alla pretesa della sua sovranità territoriale da parte di Israele e del popolo palestinese (rappresentato dall’OLP). Difatti sono innumerevoli i tentativi fatti negli ultimi decenni per definire lo status giuridico internazionale di Gerusalemme, tramite risoluzioni Onu e negoziazioni fra le parti, nessuno dei quali ha portato finora ad una soluzione definitiva. La sovranità territoriale di Gerusalemme è rivendicata da entrambe le parti  in modalità finora inconciliabili. Infatti, allo stato attuale nonostante Israele abbia il controllo sull’intera città, su Gerusalemme vi sono posizioni divergenti:

  • Israele rivendica l’intera Gerusalemme, inclusa Gerusalemme est, come la sua completa e unica capitale;
  • l’ANP (Autorità nazionale palestinese) rivendica almeno una parte di Gerusalemme come capitale del futuro stato arabo della Palestina;
  • la maggiorparte dei membri dell’Onu e delle organizzazioni internazionali non riconoscono nè l’annessione da parte di Israele di Gerusalemme est, né riconosce l’intera città come capitale dello stato di Israele.

Oltretutto la varietà di composizione della popolazione della città, la sua particolarità storica e l’importanza di luoghi considerati patrimonio dell’umanità hanno reso sempre più difficile una soluzione che sia accettabile non solo per le parti in causa ( Israele e popolo palestinese) ma anche per altri soggetti, come ad esempio la Santa Sede e più in generale la Comunità internazionale.

Le principali organizzazioni internazionali hanno da sempre tenuto conto dell’unicità di Gerusalemme, prima ancora che questa divenisse epicentro dei conflitti tra Israele e Anp. Infatti tra i vari provvedimenti messi in atto dalle organizzazioni internazionali ( ONU) và ricordato il mandato del 23 luglio 1922 con cui l’Onu  affidava l’amministrazione della Palestina alla Gran Bretagna, che pur non attribuendo a Gerusalemme uno status giuridico diverso da quello della Palestina, conteneva alcune norme per la tutela dei Luoghi santi, come ad esempio l’art. 13 che attribuiva alla Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria, il compito di tutelare e assicurare il libero accesso ai luoghi di culto e garantire  il rispetto dell’ordine pubblico e del decoro; e l’art. 14 che prevedeva l’istituzione di una commissione ad hoc incaricata di studiare e determinare i diritti e le pretese relativi ai luoghi santi delle diverse comunità religiose presenti in Palestina. Una posizione diversa sopratutto per quel che riguarda Gerusalemme venne assunta  nel 1947 dalle Nazioni Unite a seguito della II Guerra Mondiale, in vista della cessazione del mandato britannico sulla Palestina.

La risoluzione non vincolante dell’Assemblea Generale dell’Onu n°181 del 1947 accogliendo le proposte formulate dalla commissione ad hoc, prevedeva la costituzione, nel territorio Palestinese, di uno stato arabo e di uno stato israeliano e l’istituzione di un regime speciale internazionale per la città di Gerusalemme.gaga

In tale risoluzione si dichiarava che la città di Gerusalemme si sarebbe costituita come un corpus separatum, cioè tale città sarebbe stata sottoposta ad un regime speciale internazionale e sarebbe stata amministrata dal Consiglio di amministrazione fiduciaria in nome delle Nazioni Unite.

Tale Consiglio di amministrazione avrebbe avuto il compito di redigere uno statuto per la città di Gerusalemme contenente disposizioni già fissate per altro nella stessa risoluzione n° 181, e di nominare un Governatore della città che avrebbe avuto dei poteri speciali sopratutto per quanto riguarda i luoghi santi, gli edifici religiosi esistenti, non solo a Gerusalemme ma nell’intera regione della Palestina.

Ciò che si rendeva necessario per Gerusalemme  era la sua sottoposizione ad un regime di amministrazione internazionale.

Ma la risoluzione n° 181 come anche la  costituzione di Gerusalemme  in un corpus separatum, sottoposto a regime internazionale, non si realizzò. Il piano di partizione fu solo accettato dalla comunità ebraica in Palestina, la cui rinuncia ad inglobare Gerusalemme nello Stato israeliano rappresentava un grande sacrificio, mentre tale piano di partizione fu respinto dall’Alto comitato arabo per la Palestina che sosteneva l’invalidità della risoluzione, dichiarando che non si sarebbe sentito minimamente vincolato da quest’ultima. La scadenza del mandato britannico nel 1948 fu preceduta non solo dalla proclamazione della nascita dello Stato d’Israele ma si assistette anche all’intervento militare nei confronti del nuovo Stato d’Israele da parte di cinque Stati arabi: Egitto, Transgiordania (successivamente denominata Giordania) Iran , Libano e Siria.

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L’idea di Europa

Breve Excursus storico sui Trattati dell’Unione Europea

Il processo di integrazione europea muove da lontano e trova le sue radici in concezioni politiche e filosofiche di illustri pensatori, in progetti di movimenti di privati cittadini, in iniziative di statisti e di uomini di governo. Uno dei promotori del progetto di unire gli Stati europei fu Aristide Briand, ministro degli esteri francese che diede vita, nel 1924, alla c.d. Unione paneuropea, questa era un’associazione che aveva l’intento di raggiungere l’unificazione europea nella convinzione della necessità di preservare l’Europa dalla minaccia sovietica da un lato e dalla dominazione economica degli Stati Uniti dall’altro.

Il primo passo ufficiale fu compiuto quando Aristide Briand, per conto del suo governo, presentò alla Società delle nazioni nel 1930 un Memorandum, che però non ebbe un seguito concreto. Il progetto prevedeva la creazione di un’organizzazione politica tra gli Stati partecipanti senza mettere in discussione la loro sovranità.
Una concezione diversa, invece, di carattere più federalista veniva racchiusa in un documento fondamentale per la storia dell’integrazione europea, il Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita, del 1941, dovuto ad uno slancio europeista che accomunava tre autori: Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni ( all’epoca confinati nell’isoletta delle Pontine perché antifascisti).
Secondo l’impostazione di tale documento, l’obiettivo cardine era quello che per assicurare la pace tra i paesi europei occorreva che questi rinunciassero alla propria sovranità e che si giungesse ad una nuova entità, la Federazione Europea, dotata di un proprio esercito, di una propria moneta, di proprie istituzioni politiche nelle quali i cittadini fossero direttamente rappresentati, e di una propria politica estera.
Accanto alla concezione espressa dal Manifesto di Ventotene, che ispirò la nascita nel 1943 del movimento federalista Europeo, un’altra negli anni della II Guerra Mondiale si venne a maturare per merito principalmente dello statista e industriale francese Jean Monnet la cui opera fu storicamente determinante per l’avvio e lo sviluppo della costruzione europea. Mentre il progetto federalista prevedeva l’obiettivo immediato di una unione politica europea quello sostenuto da Jean Monnet, pur mirando a questo risultato, si basava su un diverso metodo di tipo funzionalista e graduale.

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Un intervento militare in Libia?

A 5 anni dalla rivoluzione in Libia, se cerchiamo di fare un’analisi più dettagliata, ci si rende conto di come il rovesciamento del regime di Gheddafi abbia portato forte destabilizzazione, alimentata dal continuo susseguirsi di scontri tra il governo internazionalmente riconosciuto, con base nella città orientale di Tobruk e sostenuto dalla Camera dei rappresentanti e dall’operazione “Dignità” del generale Haftar e dall’altra il governo con base a Tripoli e sostenuto dal Nuovo Congresso Nazionale Generale e dalla coalizione di Alba Libica, e continue infiltrazioni da parte dei componenti dell’IS che, approfittando dell’assenza di un “governo di unità nazionale”, guadagna sempre più terreno in Libia.

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La nuova frontiera del terrorismo jihadista

Il giorno dopo gli attentati di Parigi rabbia e sgomento ci assalgono.

Il terreno di scontro è sempre l’Europa, oggi come in passato, culla della democrazia!. Per me non è un caso che gli attentati si siano svolti in prossimità della programmata (ormai cancellata) visita di Rohani a Roma e poi successivamente a Parigi. Il problema è di difficile analisi. Sono molte le angolazioni da cui guardare, sia per ciò che sta succendendo in Medio Oriente sia per i recenti avvenimenti in Occidente.

Prima fra tutte lo scontro sempre più serrato tra sunniti e sciiti. Il recente avvicinamento ( seppur velato) tra Iran e Usa ha portato l’Arabia Saudita a preoccuparsi della “solidità” del rapporto con gli Usa. I sauditi, sempre pronti a spingere gli altri nelle loro guerre. Poi gli Usa, incapaci negli ultimi anni di una politica estera in Medio Oriente più incisiva, persi nell’oceano senza una bussola.

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