Dopo aver parlato nel mio precedente articolo dell’Economia Europea con un piccolo focus sul diritto della concorrenza nell’UE e il perché della scelta di preservare una libera concorrenza a tutti i costi, oggi torno a parlare di economia, concentrandomi sul progresso tecnologico come strumento della crescita economica di uno Stato.
Cercherò di delineare in modo breve e chiaro uno degli argomenti che più mi ha entusiasmato durante i miei studi universitari ovvero le teorie della crescita esogena ed endogena.
Riprendendo tratti del mio precedente articolo, la scelta di far rispettare il principio della libera concorrenza nell’Unione Europea è frutto della scelta di non rischiare di limitarsi a mantenere in vita attività di mera sopravvivenza ma di contribuire alla genesi di nuove imprese capaci di evolvere e di crescere mediante le innovazioni, anche le più semplici.
In realtà non esistono scelte univoche, divieti astratti o soluzioni sempre efficaci. La microeconomia ci insegna che in alcuni settori il prevalere di rendimenti di scala crescenti impone dimensioni ottime rilevanti, ma insegna anche ad apprezzare le reti di imprese di minore dimensione come parte indispensabile della struttura produttiva.
Ma come possiamo crescere in un mercato con diversi attori?
Le teorie della crescita dedicano un’ampia trattazione alle definizioni e alle verifiche della convergenza, per controllare le condizioni necessarie perché le nazioni raggiungano lo stesso livello di reddito pro capite, grazie all’identica produttività del lavoro ( reddito per addetto) e lo possano poi mantenere per un tempo ipotetico e indefinito (crescita in condizioni di steady state ovvero la stabilità tra il tasso di crescita dello stock di capitale inteso come “capitale investito” e tasso di crescita della produzione ovvero il “PIL”). Il metodo di analisi consiste nel porre un traguardo che viene chiamato attrattore, cioè una condizione verso cui il sistema tende.
Finché il capitale per addetto determina un risparmio e un investimento superiore a quello che lo manterrebbe costante, il sistema cresce, se invece il capitale per addetto dovesse risultare eccessivo, il sistema si troverebbe a produrre un reddito troppo basso per generare risparmi capaci di finanziare investimenti tali da garantire un rinnovo degli impianti e un mantenimento della dotazione di capitale raggiunta.
Mi spiego meglio: Una nazione ricca, con elevata accumulazione di capitale per addetto può realizzare progetti di investimento che lo accrescano ulteriormente, ma essi rendono sempre meno, in termini di aumento del prodotto e pertanto di tasso di profitto, e sempre meno contribuiscono all’ulteriore sviluppo, subirà una battuta d’arresto perché ormai è in una situazione satura. Mentre una nazione povera, in cui l’accumulazione di capitale è ancora insufficiente rispetto alle opportunità esistenti si troverà in una posizione di crescita ben più rapida.
Entrambe le nazioni dovrebbero convergere verso una situazione in cui l’investimento serve a mantenere una dotazione di capitale per addetto costante, in presenza di una popolazione crescente che conserva però inalterato il suo reddito pro capite. Entrambe convergono verso il medesimo reddito pro capite se hanno in comune il punto di arrivo, quello che è stato qui chiamato attrattore, e dunque se hanno in comune la funzione di produzione, la propensione media al risparmio, il tasso di crescita della popolazione e il logorio del loro capitale ( tasso di ammortamento).
L’unico modo per la nazione ricca di andare oltre l’attrattore è creare un nuovo attrattore al quale tendere. Il progresso tecnico sposta verso l’alto la funzione di produzione che genera quindi un nuovo attrattore, con un nuovo valore del reddito di crescita equilibrata e costante che determina una nuova fase di sviluppo (crea nuove opportunità di investimento).
In quest’ultima situazione le società sviluppate raggiungerebbero modelli di organizzazione delle attività produttive che incentiverebbero l’ulteriore crescita attraverso la ricerca di nuovi prodotti e nuovi processi. Quindi questo porta alla scomparsa dell’utilità dell’attrattore perché la mancata convergenza tra le nazioni si spiegherebbe nella possibilità che lo stesso e ulteriore sviluppo possa generare nuove opportunità mediante l’attività innovativa quindi sempre nuovi obiettivi a cui tendere.
E’ quello che venne definito come il residuo di Solow.

Nel 1956 due economisti Abramovitz e Solow dimostrarono che il 90% della crescita economica, in un paese industrializzato non era spiegabile attraverso le misure convenzionali del capitale e del lavoro: la parte residua, si ipotizzò, doveva riflettere la crescita della produttività, più che la quantità dei fattori della produzione.
Robert Solow elaborò quindi una teoria della crescita. Nel modello di Solow, la crescita è espressa attraverso una funzione di produzione, dove il prodotto (Y) è funzione della quantità di capitale fisico (K) e lavoro umano (L), a parità di altri fattori come il progresso tecnico:
Y = F (K,L)
Mentre un incremento di capitale (K) e di lavoro (L) provocherebbe uno spostamento lungo la funzione di produzione (curva), cambiamenti esogeni ( non spiegati) nel progresso tecnico provocherebbero uno spostamento della curva verso l’alto ( consentendo un impiego più produttivo sia di K che di L).
Quindi una volta capito che il 90% della variazione nella produzione economica non era spiegato da capitale e lavoro, Solow definì la parte restante come progresso tecnico.
La teoria di Solow divenne nota come teoria della crescita esogena, perchè la variabile del progresso tecnico viene inserita dall’esterno, come un andamento temporale A (t) ( simile alla crescita della popolazione).
Y = A(t) F (K,L)
La nozione di progresso tecnico come residuo non deve però impedire la ricerca di ciò che lo provoca e lo favorisce. Se ci si limita al calcolo del residuo, si accetta di consideralo come esogeno al sistema, mentre per spiegare i divari di reddito è indispensabile cercare di capire come mai due nazioni innovano in misura diversa i loro modi di produrre, con conseguenze diverse sulla loro capacità di sviluppo.
La verifica delle potenzialità di crescita endogena è proprio il tentativo di spiegare questo residuo, per esempio attraverso gli indicatori di scolarità o della spesa pubblica destinata all’istruzione e alla ricerca, dunque come conseguenza della accumulazione nel cosiddetto capitale umano.
Tuttavia, l’attenzione sempre maggiore al rapporto fra progresso tecnico e crescita ha portato indirettamente politici e alti funzionari a concentrarsi sull’importanza degli investimenti in tecnologia e capitale umano per favorire la crescita.
Ecco che così sono nate le politiche per una crescita spinta dall’innovazione con l’obiettivo di sostenere l’economia della conoscenza per promuovere la competitività.
In conclusione, esiste un rapporto diretto tra il valore di mercato delle aziende e la loro performance in termini di innovazione ed è su questo che l’Unione Europea dovrebbe spingere con investimenti pubblici per garantire una maggiore convergenza tra le diverse economie degli Stati membri, mettendo in risalto le politiche come Strategia Europa 2020 in modo da tentare di armonizzare gli investimenti in R&S.
Anna Morrone