Tra le Guerre

Siamo in un clima di tensione, forse molto più forte rispetto a quello che i nostri antenati hanno vissuto durante la guerra fredda ovvero il periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale alla caduta del muro di Berlino con la successiva dissoluzione dell’URSS. I blocchi sono rimasti sostanzialmente quelli. La Russia ha aperto il fronte occidentale con il conflitto in Ucraina e le tensioni con la Nato non sono ancora rientrate: l’adesione ufficiale della Svezia ha fatto storcere il naso alla Russia che si vede sempre più circondata. La Nato continua a sostenere l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina, ma al tempo stesso cerca di evitare un coinvolgimento diretto in un conflitto militare con la Russia; inoltre, si concentra nell’offrire supporto diplomatico e assistenza strategica al governo ucraino, al fine di trovare una soluzione pacifica alla crisi. Concetti, questi, espressi chiaramente dal Segretario generale Jens Stoltenberg che a mio parere non fanno ben sperare in una “distensione” da parte di Putin. Ma l’Ucraina è in difficoltà. Si chiede lo sblocco dei pacchetti di aiuti da parte degli Usa, ma questi al momento sono impegnati su due fronti, quello delle Presidenziali 2024 che si terranno a novembre e il fronte Mediorientale con lo storico alleato “incontrollabile”.

Nonostante la “difesa” a spada tratta degli Usa nei confronti di Israele, la stessa difesa è venuta meno durante la riunione del Consiglio di sicurezza, nello specifico quando è stata approvata la risoluzione che chiede il cessate il fuoco a Gaza  dopo mesi di impasse e quattro tentativi falliti. Il documento ha ottenuto 14 voti (Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. È composto da 15 membri. Cinque di essi – Cina, Francia, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti – sono membri permanenti con diritto di veto, mentre gli altri 10 vengono eletti dall’Assemblea con un mandato biennale a favore), gli Usa questa volta si sono astenuti, e chiede l’immediato cessato il fuoco da entrambe le parti durante il mese sacro del Ramadan e che poi si conduca ad un cessate il fuoco durevole. In risposta a questo Israele che fa? Attacca il consolato iraniano a Damasco. La maglia si allarga, obiettivo costringere paesi alleati ad intervenire. Allo stesso tempo il rischio che l’Iran possa entrare in guerra è altissimo. Israele ha però un alleato dalla sua parte, gli Emirati, non in buoni rapporti con l’Iran. Negli ultimi anni, i rapporti tra gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e Israele hanno conosciuto una significativa trasformazione, passando da una situazione di non riconoscimento ufficiale a una normalizzazione delle relazioni diplomatiche. Questo cambiamento è stato annunciato nell’agosto 2020, quando Israele e gli EAU hanno concordato di stabilire pieni rapporti diplomatici, inclusi scambi di ambasciatori, cooperazione economica e collaborazione in diversi settori. Questo accordo è stato facilitato da una serie di fattori, tra cui interessi comuni legati alla sicurezza regionale, preoccupazioni condivise riguardo all’Iran e una crescente consapevolezza della necessità di collaborazione per affrontare sfide regionali. La crescita dell’influenza iraniana nella regione ha fatto si che l’Arabia Saudita adottasse una posizione già rigida e intransigente orientata a piegare l’arco sciita ricorrendo al proprio peso politico ma sopratutto economico nei confronti dei vicini ma anche del tradizionale alleato statunitense. La rivalità tra Iran e Arabia Saudita è una delle variabili che hanno plasmato e fortemente condizionato gli equilibri in Medio Oriente negli ultimi quarant’anni. Fondata sulla dialettica tra sunnismo e sciismo, tutta interna al mondo islamico, la dicotomia tra Teheran e Riyadh affonda le proprie radici in quell’uso strumentale delle divisioni etnico-settarie che ha contraddistinto i processi di affermazione delle identità nazionali in questa regione. Un intervento diretto dell’Iran nel conflitto a Gaza porterebbe a profonde implicazioni politiche, diplomatiche e strategiche che sfocerebbero in una escalation delle tensioni e a un aumento dell’instabilità nella regione del Medio Oriente. Un’escalation che porterebbe anche attori esterni ad intervenire nel conflitto o con azioni diplomatiche forti o, nella forma più grave, con interventi militari a supporto dell’uno e dell’altro schieramento.

In tutto questo scenario poc’anzi descritto è evidente sempre di più l’inconsistenza delle Nazioni Unite. Da anni si discute di una riforma dell’Onu le cui decisioni sono spesso “arenate” a causa del veto di anche solo uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza.  Difatti, una delle principali aree di riforma che è oggetto di discussione è il Consiglio di Sicurezza, organo incaricato di mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Molte proposte di riforma si concentrano sull’aumento dell’efficacia dell’ONU nel risolvere conflitti, fornire assistenza umanitaria, promuovere lo sviluppo sostenibile e affrontare le sfide globali come il cambiamento climatico, il terrorismo e le pandemie. E’ arrivato il momento di riflette e di avviare concretamente questo processo di riforma.

Anna Morrone

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