L’Economia Europea: un potenziale ancora da sfruttare.

Il MERCATO EUROPEO

Come nasce il Mercato Europeo? Nel mio precedente articolo sull’Europa (http://wp.me/p7mmO9-a) spiegavo la nascita di quello che è tutt’oggi  uno dei più grandi mercati economici occidentali. In questo articolo invece andrò a delineare quelle che sono le fondamenta del Mercato Unico e le diverse politiche economiche dei Paesi membri che  in parte hanno favorito la crescita economica dell’Europa ma che a volte ne hanno sottolineato le fragilità e le diversità.

Partiamo dalle origini.

Siamo nel 1957, anno della costruzione della Comunità Economica Europea: l’impostazione di fondo della CEE  era quella di sposare l’idea di un mercato liberista in cui lo Stato non interviene per sollevare l’economia nazionale, ma punta alla liberalizzazione dei fattori produttivi. Tale liberalizzazione permetteva che ciascun fattore produttivo potesse trovare la sua migliore collocazione sul mercato. Un mercato basato sulla libera concorrenza tra gli operatori economici.

Le due scuole di pensiero che si sono scontrate nel momento in cui si sono dovute creare le norme per disciplinare la concorrenza sul mercato interno nel trattato della Comunità Economica Europea (1956), sono due:

SCUOLA DI PENSIERO FRANCESE: Lo Stato è il fulcro dell’economia, perchè lo Stato è espressione del popolo, quindi lo Stato deve poter intervenire nell’economia, deve gestire il mercato.

SCUOLA DI PENSIERO TEDESCA: la scuola economica degli Ordo liberali affermava invece che era necessario spezzare l’ingerenza politica nell’economia perchè queste sono due cose diverse. Il sistema si deve reggere su poche regole, chiare e create da istituzioni competenti nel settore. L’intervento statale, secondo gli Ordo liberali, deve essere minimo: il mercato si deve assestare da solo, secondo il principio dell’Efficienza allocativa, cioè i fattori produttivi del mercato devono liberamente collocarsi sul mercato e quindi scegliere dove erogare la propria prestazione e come erogarla.

Prevalse la scuola di pensiero tedesca con dei correttivi, ma la logica di base restava un intervento statale minimo sul mercato.

La realizzazione di un mercato comune era prefigurata nell’art.2 del Trattato di Roma come strumento, insieme al graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, atto a promuovere lo sviluppo economico delle attività economiche nell’insieme della Comunità e perseguire i compiti  enunciati nello stesso art. 2.

Art.2

La Comunità ha il compito di promuovere nell’insieme della Comunit{, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 4, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attivit{ economiche, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente e il miglioramento di quest’ultimo, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualit{ della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri.

Le politiche economiche degli Stati membri devono sì svilupparsi armoniosamente, ma devono anche ravvicinarsi gradualmente. Alla realizzazione ed al consolidamento del mercato comune sono infatti preordinate, direttamente o indirettamente, non solo la libertà di circolazione delle merci, dei lavoratori, dei servizi e dei capitali, nonchè la libertà di stabilimento, ma anche ed ovviamente il regime di libera concorrenza e le politiche orizzontali, come ad esempio quella dei traporti e quella, di sempre maggior rilievo, dell’ambiente.

Bisogna considerare che la gradualità del processo di integrazione, che è stata poi la vera e fondamentale scelta originaria, ha fatto prevalere, nel corso della “prima generazione” del regime di liberalizzazione, sopratutto la dimensione c.d. negativa dell’integrazione fra i mercati e fra le attività economiche degli Stati membri. Si pose l’accento sull’eliminazione delle barriere poste dagli Stati agli scambi in merci, in persone, in servizi e in capitali, con una serie di divieti imposti agli Stati membri e con un oculato dosaggio nella previsione e sopratutto nell’applicazione delle relative deroghe. Lo stesso può dirsi per le regole della concorrenza, così strettamente legate al regime di libertà di scambi. Il passaggio dall’integrazione negativa a quella positiva è poi marcato dall’importante iniziativa della Commissione nella seconda metà  degli anni Ottanta, che ha portato prima alla pubblicazione del Libro bianco sul mercato interno e poi alla stipulazione dell’Atto Unico (1986)  momenti che hanno aperto la strada alla seconda generazione del mercato comune, quella dell’integrazione positiva. Sia l’uno che l’altro si ponevano l’obiettivo di rilanciare ed accelerare il processo di realizzazione del mercato interno, agendo sopratutto su due fronti: quello della completa e definitiva eliminazione delle frontiere tecniche, fisiche e fiscali tra i mercati degli Stati membri e quello della armonizzazione della fiscalità indiretta, considerata fondamentale ai fini dell’eliminazione delle distorsioni della concorrenza. Ma prima che si arrivasse all’Atto unico europeo, l’Europa attraversò un periodo di debolezza economica dato dalla crisi petrolifera degli anni ’70, che sottolineò la fragilità dell’economia europea.

Nel corso degli anni Settanta le nuove condizioni che si crearono a livello internazionale, misero a nudo una serie di fragilità e contraddizioni del processo di integrazione europea, riportando con forza in primo piano i problemi distributivi esistenti all’interno della Comunità. All’esplosione della prima crisi petrolifera, l’area europea (pur con differenze marcate da paese a paese) si trovó in condizioni di forte  dipendenza dalle importazioni di petrolio dei Paesi Opec, e si vide particolarmente colpita dalle ripercussioni negative dell’aumento dei prezzi petroliferi. Le politiche economiche di tutti i Paesi comunitari fronteggiarono lo stesso dilemma: adottare una linea accomodante e sostenere la domanda per contrastare la crescente disoccupazione o scegliere misure di austerità per contenere l’inflazione e migliorare le bilance commerciali? l’impostazione e le politiche adottate differiscono: alcuni paesi tra cui la Germania, favoriti dal grado più avanzato di specializzazione internazionale delle loro industrie manifatturiere, adottarono politiche restrittive della domanda interna per consolidare gli avanzi della bilancia dei pagamenti e compensare gli effetti su quest’ultimi delle rivalutazioni delle loro monete ( in sostanza puntarono sul mantenimento della moneta forte grazie ad un contenimento dell’inflazione); altri paesi tra cui l’Italia fecero ricorso a politiche accomodanti e di fatto inflazionistiche nonchè a ripetute svalutazioni, per allentare la morsa del vincolo esterno e creare maggiori spazi alle esportazioni. Si accentuò così il divario tra paesi a bassa e ad alta inflazione. I rapporti di mutua dipendenza tra i paesi comunitari erano e sono, in effetti, caratterizzati da un’articolazione gerarchica interna, che assegna alla Germania una posizione dominante, di paese leader, in grado di condizionare con le proprie scelte, reali e monetarie, le politiche degli altri Paesi membri. Ne deriva che la crescita dell’insieme degli altri paesi comunitari continua ad avere come condicio sine qua non l’espansione dell’economia tedesca. La fase successiva alla prima crisi petrolifera mette così in luce la debolezza macroeconomica dell’Europa. Si tratta di una debolezza destinata a manifestarsi  anche nei successivi decenni e che possiamo definire come l’incapacità europea di dar vita ad una politica espansiva comune o comunque ad una politica deflazionistica su base europea.

La realizzazione del Mercato unico europeo e la rapida crescita dell’Ue nella seconda metà degli anni Ottanta contribuirono alla formazione di aspettative generalmente ottimistiche sul futuro dell’Europa.  Si pensava che l’Europa potesse addirittura sostituire gli Stati Uniti come leader dell’economia mondiale. Con il Trattato di Maastricht (1992) si cercò sensibilmente la configurazione stessa del mercato interno, collegandovi espressamente, come strumenti per raggiungere l’obiettivo dello sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche all’interno dell’Unione, una unione economica e monetaria e numerose politiche comuni orizzontali.

Nonostante la maggiore armonizzazione delle politiche economiche dei Paesi membri, l’Ue continuava ad avere un trend di crescita piuttosto basso, causato sopratutto dai ritardi e dalle difficoltà incontrate dalle grandi economie continentali  nell’adattamento delle loro strutture alle sfide provenienti dalle nuove tecnologie; erano necessari profondi cambiamenti sia nelle modalità di funzionamento dei mercati sia dei meccanismi istituzionali.

LA STRATEGIA DI LISBONA

Lanciata nel 2000, aveva ed ha come obiettivo quello di trasformare l’Ue <<nell’economia basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva al mondo>> , perseguendo una variegata serie di obiettivi, quali:

  • innovazione e imprenditorialità,
  • riforma del welfare e inclusione sociale,
  • capitale umano e riqualificazione del lavoro,
  • uguali opportunità per il lavoro femminile,
  • liberalizzazione dei mercati del lavoro e dei prodotti,
  • sviluppo sostenibile.

Il messaggio che viene lanciato a Lisbona è la necessità di incisive politiche di stimolo dell’innovazione tecnologica e organizzativa, e della diffusione, e il sostegno a reti e sistemi di comunicazione che permettano le indispensabili sinergie su scala continentale nell’utilizzo dei fattori produttivi. Ma la strategia di Lisbona tutt’oggi non è stata ancora realizzata appieno.

LA CREAZIONE DELL’EUROZONA: una maggiore armonizzazione delle politiche economiche.

Un’armonizzazione delle politiche economiche dell’Unione Europea si ebbe quando nel 2002 entrò in circolo, nei Paesi membri che aderirono, la moneta unica. Tale armonizzazone è tutt’ora agevolata dalle periodiche riunioni dell’Eurogruppo, organismo composto dai Ministri dell’economia e delle finanze, che precede le riunioni dei vertici dell’Ecofin. Ma ancora una volta da un periodo di crescita e di maggiore coesione economica si passa ad un periodo di decrescita e di discordanza nel decidere i passi da intraprendere circa l’integrazione economica europea causata dalla Crisi finanziaria del 2008.

 

CRISI FINANZIARIA DEL 2008

La crisi finanziaria del 2008 ebbe inizio con il crollo del settore bancario statunitense. La concessione di prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito in favore di clienti a forte rischio debitorio, considerati da molti analisti come fenomeni di eccessiva speculazione finanziaria, portò ad un default del settore bancario degli Stati Uniti con il crollo della quarta banca d’affari americana, la Lehman Brothers (crollata sotto il peso dei loro “cattivi investimenti”). Di conseguenza altre banche per paura di perdere liquidità iniziarono a prendere precauzioni non concedendo più mutui e non effettuando investimenti. Questa situazione si riversò anche sulle banche europee che avevano investito nel mercato dei mutui statunitense;  per evitare il fallimento di molte banche        (che avrebbe portato alla perdita dei risparmi di milioni di cittadini europei) i governi nazionali come Germania, Francia, Regno Unito, Irlanda e Danimarca iniziarono ad attuare politiche di salvataggio delle proprie banche, ma il costo di questo aiuto fu elevato e portò l’Europa nella recessione del 2009. I maggiori investitori privati decisero di chiudere i loro investimenti in Europa, per la perdita di fiducia nel mercato europeo. Il vuoto di investimenti esteri  portò gli Stati europei a stanziare ingenti somme per colmare la mancanza di investimenti, ma proprio questi finanziamenti portarono a quella che oggi conosciamo come la crisi dei debiti sovrani.

La crisi finanziaria  e la successiva crisi del debito sovrano in alcuni paesi europei ha messo in evidenza come problemi e vulnerabilità da un sistema bancario possono rapidamente trasmettersi e propagarsi ad altre parti del sistema finanziario europeo, in particolare all’interno dell’eurozona. Per proteggere il mercato unico e garantire una maggiore stabilità finanziaria, nel 2012 i Capi di Stato e di governo dell’area dell’euro costituirono l’Unione bancaria al fine di perseguire un insieme di obiettivi:

  1. spezzare il legame tra rischio sovrano e fragilità dei sistemi bancari nazionali;
  2. rafforzare l’integrazione tra i sistemi bancari in Europa;
  3. dare una dimensione europea all’attività di supervisione sulle banche, attraverso un nuovo assetto istituzionale nello svolgimento dell’attività di vigilanza sul sistema bancario europeo.

La crisi economica e finanziaria globale ha posto una grande sfida per l’Ue. L’Europa deve in modo deciso affiancare all’integrazione interna una politica di proiezione e integrazione esterna. Essa deve definire una politica economica adeguata al suo rango di potenza mondiale e contribuire alla governance del sistema internazionale.

Il processo di integrazione economica europea deve continuare. Il suo completamento si avrà solo quando si troverà una soluzione ai debiti pubblici di alcuni Paesi ( una maggiore solidarietà economica tra i Paesi membri) e quando si arriverà ad un’unica politica fiscale europea.

Dopo le vicende della c.d.”Grexit” risolta a metà con il sì molto riluttante al  Pacchetto di salvataggio da parte del governo greco, una maggiore integrazione economica europea sembra essere ancora molto lontana. Vi è l’incapacità dei Capi di Stato e di Governo di accettare come risposta alle varie crisi che l’Europa sta attraversando ( immigrazione, crisi greca, Brexit nel 2017, l’avanzata dell’estrema destra e dei partiti antieuropeisti) una maggiore integrazione Europea.

Anna Morrone

 

APPROFONDIMENTI:

  • “L’economia europea” Paolo Guerrieri, Pier Carlo Padoan, Il Mulino
  • “Le nuove politiche industriali dell’Unione Europea”, P. Bianchi, S. Labory,  Il Mulino

 

 

1 commento su “L’Economia Europea: un potenziale ancora da sfruttare.”

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